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jeudi, 04 août 2011

Are the Smurfs crypto-fascist?

 
 

Surely, only a Western academic leftist could come up with something as stupid as this. This is reminiscent of when the late televangelist yahoo Rev. Jerry Falwell suggested the Teletubbies were really just a bunch of closeted homos working subversively to turn good Christian children into fudge-packers. Totalitarian humanism is the fundamentalist theocracy of our era. Burn the universities!

 

Are the Smurfs crypto-fascists?

Editor's Note: The following article comes from Worldcrunch, an innovative, new global news site that translates stories of note in foreign languages into English. This article was originally published in Le Nouvel Observateur.

By Tristan Berteloot, Worldcrunch

The stars of an upcoming summer blockbuster, the world-famous Smurfs are once again the talk of the town – though not necessarily for all the right reasons.

Known as Schtroumph in the original French, Puffi in Italian, Pitufos in Spanish, Stroumfakia in Greek, Kumafu in Japanese and Schlümpfe across the Rhine (since “schtroumpf” means “sock” in German), the little blue imps have been going strong for more than half a century, entertaining children the world over in comic books, animated cartoons and feature films.

More recently, however, the Smurfs have also caught the attention of a controversial French academic who says there may be more than meets the eye when it comes to the pint-sized characters. Hidden behind their charming veneer are some pretty dark undertones, argues Antoine Buéno, whose work “Le Petit Livre Bleu” (The Little Blue Book) accuses the Smurfs of being maybe just a bit fascist.

Buéno, who is both a senior lecturer at SciencePo University in Paris and a novelist, never set out to destroy the magical energy that emanates from these blue-colored characters. Nevertheless, he analyzes their society and ideology – Smurfology – through an unforgiving political lens.

“Le Petit Livre Bleu” focuses specifically on the man behind the cryptic cartoons, original Smurf author Pierre Culliford, aka Peyo. Whether he meant it or not, Culliford endowed his magical little creatures with some Stalinist, racist and anti-Semitic leanings, argues Buéno.

Read: Here comes the McBaguette.

Buéno first questioned the Smurfs' biological nature and sexuality: by the way, why is there only one Smurfette? Then, he tried to show that Smurf society is the archetype of a totalitarian utopia marked by Stalinism and Nazism.

Peyo came up with the word “Smurf” while dining in 1958 with his friend André Franquin. Peyo reportedly asked Franquin: “could you pass me the Smurf?” He meant to say “could you pass me the salt?” The rest is cartoon history.

The spirit of an era

Born in 1928 in Brussels, Peyo lived in German-occupied Belgium. As an adult, he did not look back fondly on that time in history. Nonetheless, Buéno thinks that “a piece of work can convey an imagery that the author himself does not support. Thus, the Smurfs seem to reflect more the spirit of an era than Peyo's political leanings.”

The Smurfs are self-sufficient. Smurf society is collectivist and interventionist. Its only leader, Papa Smurf, is all-powerful. And, like Stalin, his favorite color is red.

They all eat at the canteen and are all ridiculously puritan. In “The Black Smurfs” album, racism is obvious: blood purity becomes something vital and the dark brown Smurf is referred to as "the ugly one." In another album called “Smurfette,” Buéno notes how the Aryan blond is idealized.

The Smurfs are also united against a sworn enemy called Gargamel, a large-nosed, black-haired possibly anti-Semitic caricature, and his cat Azrael.

Smurf lovers have been quick to challenge Buéno’s “Little Blue Book,” saying his arguments are neither serious nor credible. “Generally speaking I’ve gotten two types of knee-jerk reactions: people saying that I’m either an idiot, or a crook,” says Buéno’s.

“But my analysis isn’t just coming out of nowhere,” he goes on to say. “People from other institutions have been looking at [the Smurfs] before me. People in the United States at one point suspected Peyo’s Smurf albums of being socialist propaganda, going so far as to say the word Smurf was actually an acronym for ‘Small Men Under Red Forces.’”

After Peyo died in 1992, his son, Thierry Culliford, continued to draw the Smurfs. Culliford's albums offered a much more educational approach. According to Buéno, that explains why “the Smurfs' village becomes more explicitly a metaphor for reality.”

The Smurfs make their next big appearance this summer in a 3D live-action movie directed by Raja Gosnell. The blue-colored creatures will besiege New York City for the occasion.

But before the movie is released, the Lombard Editions will publish a 29th album called “The Smurfs and the Golden Tree,” and in November, “the Smurf Encyclopedia”.

 
 
 
 
 
Keith Preston

Keith Preston

Keith Preston is the chief editor of AttacktheSystem.com and holds graduate degrees in history and sociology. He was awarded the 2008 Chris R. Tame Memorial Prize by the United Kingdom's Libertarian Alliance for his essay, "Free Enterprise: The Antidote to Corporate Plutocracy."

 

mardi, 26 juillet 2011

Hugo Pratt: gli occhi blu ferro dell'avventura

Hugo Pratt: gli occhi blu ferro dell'avventura

di Roberto Alfatti Appetiti

Fonte: Roberto Alfatti Appetiti (Blog) [scheda fonte]

 

Adulatori in vita e millantatori dopo la morte. Ogni grande attira su di sé questo esercito invisibile e minaccioso. Pronti a giurare: io c’ero. Amici (presunti tali), testimoni (per sentito dire), figure marginali che si reinventano protagonisti. Ombre in cerca di luce riflessa. Biografi di professione. Così, quando vieni a sapere che è in arrivo un libro su Hugo Pratt, pensi: un altro? C’è ancora qualcosa da sapere sul creatore di Corto Maltese – ti domandi - che non sia stato già ampiamente riferito, scandagliato nei programmi cosiddetti di approfondimento e soprattutto che non abbia raccontato egli stesso con quella sua straordinaria capacità affabulatoria?
La risposta, dopo aver letto Con Hugo (Marsilio, pp. 247 € 16,00), da pochi giorni nelle librerie italiane, è sì. Perché a scriverlo è Silvina Pratt, figlia del maestro. Perché sin da quando aveva diciotto anni ne ha tradotto le opere. Non per un favoritismo paterno. Certe espressioni dialettali veneziane per chiunque altro sarebbero risultate incomprensibili. Perché è la testimonianza autentica di chi ha conosciuto (bene) e amato (molto) l’altro Pratt, l’uomo.
Hugo? «Uno che parte, uno che appartiene agli altri» – letteralmente, visto che ai figli sono stati strappati i diritti d’autore – ma che rimane pur sempre un genitore. Affettuoso, certamente, ma anche inquieto. Scostante, di un’allegria che sa essere contagiosa quanto la tristezza. Di una vitalità dirompente, alternata a cupezze improvvise. «Con lui sembra di essere sulle montagne russe. Con i suoi occhi blu di ferro, acuti come scalpelli, riesce a far abbassare lo sguardo altrui. È consapevole del suo ascendente sugli altri – scrive Silvina – e non se ne rallegra, anzi a volte ne è furioso e triste». Meno longilineo ed elegante del suo alter ego “spirituale, di quel suo figliuolo di carta spedito in giro per il mondo all’alba del Novecento, ma – se possibile – persino più carismatico. «Sul palmo sinistro della mano – ha scritto Alberto Ongaro, curatore della prefazione del libro, parlando di Corto – ha ancora la cicatrice che indica una falsa linea della fortuna. In realtà, di fortuna ne ha avuto poca. Le cose che conquista gli sfuggono dalle mani così regolarmente che si ha il sospetto che sia proprio lui a lasciarsele sfuggire apposta. In realtà, l’unica cosa che gli importi è di recitare una parte nel mondo dell’avventura».
Quale migliore definizione anche per Pratt? Sempre con la valigia pronta e in fuga da se stesso, allergico ai legami e nient’affatto venale, innamorato, in fondo, soprattutto dell’avventura. «Mio padre era sempre pronto ad abbellire la verità. Voleva trasformare e correggere ogni cosa, il suo nome, il suo passato, la sua famiglia. La realtà doveva apparirgli troppo scialba». Troppo spesso distante: quando è lontano e quando c’è, immerso nei suoi sogni. Persino nella casa di famiglia a Malamocco, villaggio di pescatori all’estremità del Lido di Venezia, seduto per ore in silenzio a osservare il gioco delle onde che si infrangono sugli scogli. Tanto da far scrivere a Silvina: «Il più doloroso dei ricordi è la sua assenza».
Eppure non c’è traccia di amarezza nei confronti di Hugo, come lo ha sempre chiamato. Mai papà. «Nessuno dei suoi figli l’ha chiamato “papà”. Ci ho provato verso i quattro o cinque anni. Lui non dice niente, ma si volta di scatto, come se avesse preso la scossa. Per un “figlio della lupa”, nipote del fondatore del movimento fascista a Venezia, probabilmente è meglio diventare un “duro” il più presto possibile. Figlio unico, Hugo nutriva una grandissima ammirazione per gli uomini di famiglia. Soldato adolescente, partito per la guerra in Africa, ha visto suo padre Rolando, fascista, imprigionato e poi, malato, morire in un campo di prigionia sotto il sole d’Africa».
Silvina racconta anche di sua nonna Lina, la mamma di Hugo: «Conservava tanti ricordi della “sua” Africa, della “sua” Italia. Sopra il letto era possibile ammirare la foto in bianco e nero di suo marito in uniforme...». Del resto, anche il piccolo Hugo, arruolato dal padre nella polizia coloniale a soli quattordici anni, subirà il fascino di quelle divise. «Sono stati i soldati – spiega Silvina – a conferirgli la sua forma mentis. Gli anni trascorsi in un accampamento miserabile e sporco. Verso le sette di pomeriggio squillavano le trombe africane, mentre i colori della bandiera francese calavano dall’asta. Hugo aveva voglia di piangere. Al posto del blu, avrebbe voluto vedere il verde».
Per la guerra, comunque, nessuna nostalgia: «Ha distrutto la mia famiglia – ha raccontato lo stesso Pratt – come potrei amarla? Ho visto il dolore di mia madre, ho perso amici, come Sandro Gerardi, che si erano messi con i fascisti e sono stati uccisi dai partigiani. La guerra mi ha fatto maturare, comprendere cosa c’è dietro la politica e le ideologie, l’assurdità dei nazionalismi e dell’imperialismo». Con la fine delle ostilità, «finalmente arrivò la pace – ha ricordato in seguito Pratt con feroce ironia – e con la nuova generazione arrivò l’obbligatorio impegno per l’impegno. La parola avventura fu messa al bando. Non è mai stata ben vista, né dalla cultura cattolica, né da quella socialista. È un elemento perturbatore della famiglia e del lavoro, porta scompiglio e disordine. L’uomo di avventure, come Corto, è apolide e individualista, non ha il senso del collettivo. Bisognava rispolverare Marx ed Engels, autori che mi annoiarono immediatamente. Venni subito accusato di infantilismo, di fascismo e di edonismo, ma soprattutto di essere evasivo, inutile come quegli scrittori che mi piacevano e che avrei dovuto dimenticare. Non ci riuscii e mi accorsi che c’erano parecchi altri che leggevano i narratori contestati. Alla fine ci riconoscemmo come una elite desiderosa di essere inutile».
Eppure quell’etichetta di fascista gli era rimasta appiccicata. Non che se ne facesse un cruccio. «Hugo mi diceva – riferisce Silvina – che i fascisti a quell’epoca, prima di Hitler, erano diversi». Rientrato in Italia, aveva aderito alla Rsi. E, ragazzetto, aveva assistito all'epopea della Decima Mas - dove pure aveva pensato di andare per “avventura” nel battaglione Lupo - e all'arrivo degli anglo-americani come alla resistenza antitedesca vicina agli alleati. Per poi seguire la sua vera e grande vocazione: il fumetto. A soli diciotto anni è tra i fondatori de l’Asso di Picche. A ventidue è già in Argentina, dove rimarrà per tredici anni, collaborando tra gli altri con Hector G. Oesterheld, futuro sceneggiatore dell’opera di fantascienza L’eternauta. Qui conosce la giovanissima Anne Frognier, di origine belga, che sposerà e diventerà madre di Silvina (e gli ispirerà “Anna della giungla”, la protagonista dell’omonima serie). Seconde nozze dopo quelle con Gucky Wogerer, la mamma di Lucas e Marina. E poi il Brasile, San Paolo. Londra. Il ritorno in Italia. La collaborazione con il Corriere dei piccoli. E alla fine degli anni Sessanta, dopo la chiusura di Sgt. Kirk – la rivista aperta nel 1967 con il genovese Florenzo Ivaldi, su cui pubblicherà i lavori argentini, la serie de Gli scorpioni del deserto, ambientata in Africa durante la seconda guerra mondiale, e la prima avventura di Corto Maltese, Una ballata del mare salato – il trasferimento a Parigi.
Su Pif, popolare settimanale francese di fumetti, pubblica ventuno storie brevi di Corto Maltese ma la collaborazione si interrompe bruscamente nel 1973, perché – lo racconta anche Silvina – «le tendenze libertarie di Corto non collimano con le direttive che orientano la rivista verso un’obbedienza di stampo comunista». Hugo preferisce lasciare e accettare le proposte della concorrenza: Casterman, l’editore di Hergé e del settimanale Tintin. Finalmente arriva il successo. Dalla Francia e ovunque cresce il mito di Corto Maltese e lo stesso Pratt diventa personaggio. Milo Manara – che del veneziano è stato amico e allievo – lo trasforma nel protagonista della serie H.P. e Giuseppe Bergman. Di lui dirà: «La sua capacità evocativa è talmente coinvolgente che il suo continuo avvicinarsi all’essenzialità grafica riesce addirittura ad aggiungere nuove suggestioni al disegno, invece di toglierne. In un disegno di Pratt si può stabilire l’ora in cui si svolge l’azione, l’intensità della luce, la violenza del sole, se c’è fresco, se c’è caldo».
L’ultima storia di Corto, Mu, è del 1988. «Non morirà – aveva dichiarato Hugo Pratt – se ne andrà perché in un mondo dove tutto è elettronica, è calcolato, tutto è industrializzato, non c’è posto per un tipo come Corto Maltese». Un po’ come ha fatto Pratt, quando – a metà anni Ottanta – si è ritirato a Grandvaux, presso Losanna, in una casa abbastanza grande da ospitare la sua infinita libreria e con una vista sul lago Lemano. Poco prima di morire – nell’agosto del 1995 a 68 anni – ha fondato insieme alla colorista Patrizia Zanotti la casa editrice Lizard, che edita l’intera opera del maestro, oltre a libri e saggi su Hugo Pratt, su Corto e i luoghi cari alla sua letteratura. E sempre la Zanotti, l’anno scorso, ha annunciato il possibile ritorno di Corto Maltese – in Francia – con storie nuove, forse già dal Natale 2009.
La realizzazione delle nuove avventure sarà affidata a autori “di grande personalità”. Sapranno restituire le stesse atmosfere di Pratt? Sarebbero piaciuti al maestro? Chissà. Per fortuna, sinora, ci è stata risparmiata una trasposizione cinematografica. Tempo fa la proposero a Gabriele Salvatores, l'autore di Mediterraneo, che declinò l’invito: «Ho rifiutato – ha spiegato il regista napoletano – perché il produttore voleva farlo diventare una specie di Indiana Jones. Preferisco lasciarlo navigare su quella sottile linea d’inchiostro e sognare un film su Corto Maltese scritto da Hugo Pratt e diretto da Sergio Leone. E forse, da qualche parte, quei due ci stanno lavorando».

 


Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

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dimanche, 09 mai 2010

Propaganda y construccion del consenso: Walt Disney y la Segunda Guerra

Propaganda y construcción del consenso: Walt Disney y la Segunda Guerra

Por Giovanni B. Krähe

Ex: http://geviert.wordpress.com/

Entre los clásicos de la propaganda americana para el público infantil durante la Segunda Guerra Mundial tenemos las producciones de Walt Disney Der Fürher´s Faces (1943, premiada con un Oscar), la disdascálica Education for Death (1943) o la ilustrativa On the Front Lines-Victory through Air Power (1943). Todo este interesante material, histórico ahora (disponible online, ver links), tenía entonces precisos objetivos políticos-militares de mantenimiento del consenso en el frente civil interno durante la Segunda Guerra Mundial (salvo los SNAFU, ver más adelante). Es necesario considerar también los programas de apoyo fiscal al ejercito, los denominados Income Tax Propaganda. Luego de la Guerra, todo este material fue mantenido archivado y censurado por un considerable periodo, hasta su difusión relativamente reciente como material documental, de “historia” de la misma Disney. Publicamos algunos apuntes sueltos sobre el primer material, Der Führer’s Faces.

Der Führer´s Faces: Estrategia y lenguaje icónico

La estrategia principal de la propaganda americana en esta interesante producción es neutralizar y despolitizar, a través de la descontextualización por asociación, símbolos y contenidos mitopoiéticos utilizados hábilmente por la propaganda alemana para sus propios objetivos de consenso. El lenguaje de descontextualización es la ironía, a la cual se añade una representación icónica simple y una narración-guía en off de fácil interpretación para su rápida decodificación por el espectador. Entre cada momento de descontextualización (cada situación que el personaje Donald tiene que soportar) es posible notar una musicalización, un jingle digamos, que prepara el inicio y el final de cada breve situación. La música tiene la función de crear una “pausa mental”, para que el espectador pueda distinguir cada segmento del mensaje sin arrastrar las emociones de un segmento al otro.

Dado que el mensaje del grupo Disney se dirige al espectador americano medio (infantil y adulto) con finalidades de consenso, la representación icónica de la ironía es asociada en el mensaje de forma simple, breve y eficaz. La técnica es la asociación por diferencia-distinción entre un contenido americano y uno alemán, codificado a través de estereotipos, representaciones, bias, prejuicios, lugares comunes de fácil y rápido reconocimiento para el espectador.  Tenemos, por ejemplo, por un lado, contenidos pertenecientes a la cotidianidad, al espacio privado (ver imagen abajo), a la persona (dimensión psicológica) o individual (dimensión social). A esto se añaden símbolos colectivos o contenidos semánticos reconocidos como típicos por el espectador americano (“la estatua de la libertad”, ver al final del video). Por el otro lado tenemos los contenidos alemanes, objetivo de la neutralización. Estos contenidos alemanes deben ser también reconocibles y distinguibles por el espectador  americano medio para que el mensaje sea icónicamente eficaz. Observemos por ejemplo que el material inicia con una sobretematización (primer plano) del preußischer Paradeschrittel, el paso marcial prusiano (ver imagen arriba y abajo). Todos los contenidos alemanes van asociados, como ya mencionado, a estereotipos, prejuicios o lugares comunes del mismo espectador americano, para facilitar su decodificación y comprensión inmediata.

El público o target de los contenidos de Walt Disney durante la Guerra fueron siempre niños y adultos, hubieron, sin embargo, producciones especiales para uso interno, es decir, sólo para los soldados en el frente (cfr. los SNAFU). En términos de análisis mediológico (aislando el medium icónico por un lado y los símbolos por el otro) es posible, entonces, reconstruir tanto el contenido propagandístico (el objeto del mensaje) como el perfil de su espectador (el receptor del mensaje). En este sentido, la propaganda de Disney es muy interesante porque nos permite comprender también el perfil psicológico del público americano que se expone a estos contenidos con finalidades de consenso.

Ejercicio de análisis

Las situaciones-eje del plano narrativo en The Führer´s Faces son:

(jingle, preparación del interés)

1) inicio: contraposición entre espacio público/espacio privado. Donald duerme, la banda de música nazi irrumpe.

(jingle, pausa mental)

2) vida cotidiana: desayuno, etc.

(música)

3) mundo del trabajo (producción)

(música)

4) conciencia individual, identidad

(música)

6) identidad colectiva (nacional).

Algunas rápidas reflexiones y notas sueltas de un borrador sobre este material. Es interesante notar,  por ejemplo,  que la  estrategia de Walt Disney es asociar principalmente el código del mensaje a dos contenidos mediáticos del Nacionalsocialismo (NS) reconocibles rápidamente por el espectador americano de la época: el saludo NS y la Hakenkreuz, la esvástica. Para el periodo que estamos tratando, la esvástica, a la par de los demás símbolos nacionales, tenía una difusión mediática en América como reconocimiento del país, objeto de la propaganda. Esta estrategia de asociación se realiza icónicamente a través de la máxima generalización de la esvástica en la dimensión social y privada de Donald, sin distinciones, para representar el anulamiento violento de ambas dimensiones: la historia inicia  con el progresivo  anulamiento de la dimensión privada, cuotidiana (dimensión individual, psicológica) y  luego pública (espacio público, político) representado por los exteriores del dormitorio de Donald. El espacio público (la banda de música al inicio) irrumpe arbitrariamente en el espacio privado-individual (Donald duerme y es molestado). Se observe al inicio el fondo del paisaje, detrás de la banda de música, las nubes y los árboles. Esta “totalidad” del símbolo NS  anulará luego la distinción entre público y privado de Donald (ver imagen arriba) a través de la irrupción de la banda de música. Otro detalle interesante se da durante el desayuno de Donald: este debe ocultar su desayuno (dimensión privada) y modificar su conducta, puesto que no es le es permitido por el imperativo político: el café con un aroma artificial, el pan duro, son el resultado como efectos negativos. Es interesante notar cómo el director de Disney escoge la contextualización de momentos típicamente cotidianos para  hacer converger el lenguaje icónico, cromático y sonoro.  En efecto, se puede notar que el desayuno “normal” del personaje Donald  (café, periódico, tranquilidad) se debe esconder detrás de un retrato de Hitler (dimesión política, pública). Finalmente el periódico matutino es remplazado arbitrariamente por el “Mein Kampf”. (continuará).


dimanche, 14 mars 2010

Notice sur Raymond De Becker

Notice sur Raymond De Becker

Ex: http://www.objectiftintin.com/

Moulinsart
Né en janvier 1912 à Schaerbeek, Raymond De Becker fréquente dès l'adolescence les cercles de l'Action Catholique dont la plupart des militants sont partagés entre monarchisme maurrassien et fascisme italien. Jeune homme enthousiaste et charismatique, Raymond impressionne son entourage par son intelligence et sa culture encyclopédique. En 1929, il rencontre Hergé pour la première fois au sein de la Jeunesse Indépendante Catholique dont il est le secrétaire général. Impressionné par ce brillant cadet, le père de Tintin accepte de dessiner pour "l'Effort", le bulletin de la J.I.C., et d’illustrer les propres ouvrages de Raymond : "Le Christ, roi des Affaires" (1930), "Pour un Ordre Nouveau" (1932) et "Destin de la France" (1937). Convaincu d’avoir un rôle important à jouer dans les années à venir, Raymond De Becker acquiert de plus en plus d’assurance : il s’éloigne du catholicisme et ne craint plus d’affirmer son homosexualité. Politiquement, il s’implique davantage et commence à fréquenter les salons germanophiles bruxellois. En décembre 1939, il fonde l’hebdomadaire neutraliste "L’Ouest" dans lequel Hergé publie les "exploits" de Monsieur Bellum, caricature du Belgicain francophile et va-t-en-guerre. Peu diffusé, encore moins lu, "L’Ouest" cesse rapidement de paraître.


La victoire des troupes de Hitler et l’Occupation sont accueillies favorablement par Raymond De Becker : le temps est venu pour lui d’exposer et d’imposer ses projets politiques au plus grand nombre. Dès l’été 1940, les autorités allemandes lui confient la direction du "Soir", le principal quotidien belge. Raymond ne manque pas de solliciter Hergé qui, le 17 octobre, entame dans le journal de son ami une nouvelle aventure de Tintin : "Le Crabe aux Pinces d'Or". Très vite, la ligne éditoriale du "Soir" se radicalise : déjà farouchement anticommuniste, De Becker n’hésite plus à publier des articles violemment antisémites. Parallèlement, il tente de fonder un "Parti Unique des Provinces Romanes" qui défendrait les intérêts des populations wallonnes dans la nouvelle Europe, mais les Occupants n’approuvent pas ce projet qui pourrait faire de l’ombre à Rex, le parti de Degrelle. A l’automne 1943, Raymond De Becker n’est plus convaincu de la victoire du Reich : il clame son intention d’abandonner la politique de Collaboration. Arrêté le 5 octobre, il est placé en résidence surveillée dans les Alpes bavaroises. Il y demeure jusqu’à la fin des hostilités puis rentre en Belgique où il se constitue prisonnier le 9 mai 1945.


Le 24 juillet 1946, le Conseil de Guerre de Bruxelles le condamne à mort, notamment pour avoir "ébranlé la fidélité des citoyens envers le Roi et l’Etat". Un an plus tard, sur appel, sa peine est commuée en prison à perpétuité puis, par voie de grâce, réduite à 17 ans de réclusion. Le 22 février 1951, De Becker est finalement libéré à condition de quitter sans délai la Belgique et de s’abstenir de toute activité politique et éditoriale. Pendant la détention de son ami, Hergé n’avait cessé de l'encourager et de correspondre avec lui. Raymond délivré, le dessinateur l’aide à se loger décemment à Paris et parvient même à lui trouver un emploi d’"inspecteur des ventes dans les librairies suisses".


En prison, Raymond De Becker s’était vivement intéressé à la psychanalyse. En liberté, il devient rapidement le principal exégète de l’œuvre de Carl Gustav Jung qu’il rencontre à plusieurs reprises. De Becker encourage Hergé à lire les ouvrages du père de l’"Inconscient Collectif" et à entamer une psychanalyse auprès de son disciple, le docteur Riklin.


En quête d’un nouvel auditoire, Raymond ne cesse de publier. D’une insatiable curiosité, il explore des domaines particulièrement variés : le cinéma ("De Tom Mix à James Dean, ou le mythe de l’Homme dans le cinéma américain", Fayard, 1959) , l’homosexualité ("L’Erotisme d’en face", Pauvert, 1964), le paranormal ("Les Machinations de la Nuit", Planète, 1965) ou encore les philosophies orientales ("L’Hindouisme et la crise du monde moderne", Planète, 1966). Dans les locaux de la revue "Planète", il côtoie deux très bons amis de Hergé : le scientifique Bernard Heuvelmans et l’"initié" Jacques Bergier (Mik Ezdanitoff dans "Vol 714 pour Sydney").


Jusqu’à sa mort à Paris, en 1969, Raymond De Becker sera pour Georges Remi plus qu’un ami fidèle : un véritable passeur qui, grâce à ses ouvrages et à ses conseils de lecture, l’aidera à surmonter ses crises, à tendre vers cette sérénité que le père de Tintin désirait plus que tout.

Entourage de Hergé

(Objectif Tintin remercie grimonpont, le capitaine Haddock, Tryphon Tournesol, Moulinsart, Jolyon Wagg, Tan Tan & Milou pour cet article :-)

dimanche, 10 janvier 2010

1929: naissance de Tintin sous l'impulsion de l'Abbé Wallez

Tintin-Soviet.jpg10 janvier 1929 : Sous l’impulsion de l’Abbé Norbert Wallez, rédacteur en chef du quotidien catholique belge « Le Vingtième Siècle », qui est flanqué d’un supplément destiné à la jeunesse, le « Petit Vingtième », Georges Rémy, alias « Hergé », crée le personnage de Tintin. Celui-ci est un reporter du « Petit Vingtième » et ses aventures seront relatées sous la forme de bandes dessinées, notamment, celles qui le mèneront au « pays des Soviets ». Cet art, que l’on nommera bientôt le « 9ème Art » sort des revues spécialisées pour les enfants pour entrer dans la grande presse quotidienne. Au même moment, d’autres héros de BD apparaissent dans la presse américaine, tels Spud, Popeye (le 1 juillet 1929) et Dickie Dare. Aucune étude approfondie n’a encore été faite sur les motivations de l’Abbé Wallez, sur les raisons qui l’ont poussé à adopter cette politique éditoriale. On peut d’ores et déjà dire ceci : 1) le Primat de Belgique, le Cardinal Mercier, avait élaboré une philosophie de l’action et du devoir, partiellement inspirée du philosophe français Blondel ; Tintin est un homme d’action qui obéit à son devoir et sert de modèle au mouvement scout catholique, très présent dans la vie sociale belge de l’époque ; 2) au niveau littéraire, le catholicisme de l’époque est très marqué par l’œuvre de l’Anglais Chesterton, qui exalte « l’esprit d’enfance », qu’il s’agit de conserver dans un monde adulte devenu de plus en plus désenchanté, où l’élan héroïque, le sens du devoir moral ou éthique disparaît ; il faut donc un héros pour les « jeunes de 7 à 77 ans », c’est-à-dire pour ceux qui, obéissant au vœu de Chesterton, entendent garder l’élan et les idéaux de la jeunesse, ou le « cœur pur » de l’enfance (« Cœur Pur », ne l’oublions pas, est le nom honorifique que donnent à Tintin les moines de la lamaserie tibétaine, qui l’ont recueilli, avec le Capitaine Haddock, alias « Tonnerre Grondant » dans le bel album « Tintin au Tibet »).

 

samedi, 08 novembre 2008

A actualidade de Tintim

A actualidade de Tintim

ex: http://pt.no-media.info/

A actualidade de Tintim

O Mundo vive uma crise económico-financeira de proporções ainda não quantificáveis, porque está para ficar e durar. Começou nos Estados Unidos da América, rapidamente chegou à Europa, e neste momento não há Continente ou País que já não sinta os seus efeitos. Sete anos de Capitalismo Selvagem, selvática e criminosamente fomentado e protegido pela Administração liderada por George W. Bush, são os responsáveis por tudo o que se está a passar. E a impunidade da Plutocracia é evidente em todo o processo!

Wall Street é o símbolo da usura, tão bem definida por Ezra Pound. A ela se devem as maiores crises, desde o Crash de 1929. Com o fim de Primeira Guerra Mundial, o centro económico-financeiro passou de Londres para Nova Iorque, da City para Wall Street, e nunca a instabilidade dos mercados foi tantas vezes posta à prova. E tudo por culpa da Oligarquia Financeira Transnacional!

Em 1942, o repórter Tintin envolve-se em mais uma aventura. Naquela noite fazia um calor insuportável. Passeando com Milu, Tintin percebe que uma enorme estrela brilhava na constelação da Ursa Maior. A estrela misteriosa aumentava a cada instante, tornando mais forte o calor.
No Observatório, Tintim descobre que se tratava de um gigantesco meteorito vindo em direcção à Terra. A colisão acarretaria o fim do mundo! Contudo, o mundo não termina, porque o meteorito passa a raspar a Terra. Mas um pedaço dele cai no oceano Árctico, originando um pequeno terramoto.

Um astrónomo descobre no meteorito um metal desconhecido - o calystène. Então, uma expedição científica, comandada pelo capitão Haddock, vai atrás do precioso meteorito.

Mas o interesse pela exploração económica do calystène leva também uns aventureiros sem escrúpulos a tentar apossar-se dele. Tintin e seus amigos terão de enfrentá-los nessa corrida, em que seus inimigos usam de toda sorte de golpes baixos para chegar na frente.

Os inimigos da expedição organizada pelos Fonds Européen de Recherches Scientifiques, F.E.R.S., da qual faz parte o Físico e Professor da Universidade de Coimbra Pedro João dos Santos, estão representados, originalmente, pelo Banco Blumenstein, do banqueiro Blumenstein que financia e dirige à distância a expedição do PEARY.

E quando o Kentucky Star se aproxima do meteorito, desce um escaler, no qual, originalmente, é bem visível a bandeira dos EUA! Mas do Aurore já tinha sido um hidroavião com Tintin a bordo que vai descer em pára-quedas no solo do meteorito em primeiro lugar, ficando a posse do dito nas mãos da F.E.R.S..

Nada de mais simbólico e actual. Hergé, ao escrever esta aventura, em plena Segunda Guerra Mundial, como que antecipa o futuro. O Capitalismo é o vencedor da contenda, quer o Capitalismo de Mercado simbolizado pelos EUA, quer o Capitalismo de Estado simbolizado pela então URSS.

Nesta batalha pela posse do meteorito não são os EUA e a sua Banca que ganham. Aqui a lei do mais forte não venceu!

E agora, como será?

In A Voz Portalegrense, 25 de Setembro de 2008

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